15 marzo 2025
Le chiese il Vangelo e noi
(in occasione delle Presentazione delle Tavole del Maestro Casentini)
Torrette di Mercogliano, 15 marzo 2025
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Fin da piccolo ho cominciato a frequentare le chiese.
Davanti a tanto stupore, non sono mai riuscito a separare dentro di me la preghiera e la partecipazione alla liturgia dallo sguardo con cui accarezzavo le statue, le pale d'altare, le volte, le colonne, gli stucchi e le vetrate.
Dove finiva dentro di me il devoto e dove cominciava il bambino affascinato da quella miriade di forme e di colori è difficile dirlo. Non era ancora fede, non era ancora amore per l'arte, ma era l'inizio di un rapporto sentimentale, di una relazione intima che da lì a qualche anno sarebbe diventata una scelta di vita.
Nulla sfuggiva alla mia curiosità, oggetti o stoffe, catturavo prima con gli occhi e poi riuscivo anche a toccare con le mani. Ci ho messo anni ad imparare i nomi, a capire le differenze: l eggii, reliquiari, ex voto, carteglorie, turibolo e navicella, pissidi e calici, aspersori e secchielli, patene e ampolle, croci e candelabri, campanelli, messali e breviari, dalmatiche, camici, stole, piviali, amitti e cotte, manipoli e pianete. Carne e sangue di quei grandi corpi che sono le nostre chiese. Molti sono convinti che la storia dell'arte non sia che un elenco di nomi eccellenti, Michelangelo, Leonardo, Raffaello,non è proprio così. In tanti sono sedotti da un marketing martellante che li porta nelle mostre a pagamento, affrontano viaggi di centinaia di chilometri per visitare una mostra e semmai ignorano il tesoro racchiuso in una chiesa sotto casa! Non ho nulla contro i musei e contro le retrospettive dei pittori, sono contro la trasformazione di cittadini in clienti. Le mostre permettono una esperienza immersiva nel genio di un'artista, di un'epoca, di un genere, ma spesso è come soddisfare l'appetito in un fastfood, prendi le consumazioni che prendono tutti, non segui un tuo gusto personale ma lasci che altri preparano per te, semmai facendo abuso di salse, spezie e additivi. Ho avuto la fortuna di nascere e crescere in un Paese che ha espresso una biodiversità storica e artistica esemplare se non unica. L'Italia è una stratificazione di diversità da ogni punto di vista, di cibo, di dialetti, di paesaggi, che ha imparato a conservare e rendere materia di vanto e di identità. Mi è bastato guardarmi intorno per cogliere una varietà di stili, di materiali, di architetture con cui le generazioni passate hanno reso il luogo di appartenenza uno spazio ricco di testimonianze del loro amore, del loro dolore e delle loro speranze. Le chiese in Italia, non a caso, quasi sempre si affacciano su magnifiche piazze con cui fanno corpo unico. Chiese e piazze per noi italiani sono luoghi pubblici, luoghi da frequentare, da entrarci quando fuori piove, o fa troppo caldo, per parlare con un amico, per rivedere una Madonna o accendere un cero. Luoghi intimi o comunitari, spazi di respiro e riposo mentale per tutti noi che siamo cresciuti in questa parte del mondo, pezzi di una casa che ci ha dato forma e che continua a darla alle nuove generazioni.
Sappiamo tutti che da qualche anno le offerte dei fedeli si sono ridotte, ed invec e sono cresciuti i costi delle manutenzioni: ciò non giustifica perché sempre più spesso anche in Italia capita di pagare un biglietto per entrare in una chiesa. È bene precisare subito una cosa: quella dell'apertura a tutti è il cuore della tradizione cattolica, e in particolar modo, cattolica italiana. Questa tradizione italiana di apertura larghissima che intende le chiese come spazio pubblico è indistinguibilmente una tradizione civile e religiosa!
La Conferenza Episcopale nei suoi documenti ha sempre incoraggiato l'introduzione di un prezzo d'ingresso, Roma e Napoli, città ad alta densità di chiese, sono tra le poche città a permettere l'ingresso libero. In molte città d'Italia ormai vige lo scellerato costume da far pagare il visitatore nonché il turista. Molti amministratori locali, sia religiosi che civili, vogliono far passare la selvaggia valorizzazione come tutela, si è lasciato che una cospicua fetta del nostro patrimonio artistico fosse venuta mercificata.
Le chiese non sono un museo ma un vivo corpo collettivo, guai a ridurre le chiese esclusivamente a sito culturale, sarebbe come mancare di rispetto a quello che c'è dietro, la scandalosa follia d'amore di un Dio che si è fatto carne.
Non si conosce il numero esatto delle chiese presenti in Italia, qualcuno ha contato 95 mila chiese, di cui 85 mila beni culturali e come tali sottoposte a tutela. I proprietari sono molteplici: Santa Sede, Diocesi, Parrocchie, Confraternite, Ordini, Istituti religiosi, Opere pie, Stato, Regioni, Provincie, comuni privati, ecc. Per una chiesa diventare bene culturale significa garantire una tutela da parte dello Stato il quale per dettato costituzionale interviene economicamente a sostenere gli oneri di restauro e di mantenimento.
Circa 2 mila chiese, 500 delle quali sono tra le più importanti da un punto di vista storico e artistico, inoltre, appartengono al FEC, Fondo Edifici di Culto, afferente al Ministero dell'Interno, al Viminale, ente statale che si accolla le ingenti spese di manutenzione delle grandi chiese monumentali, nelle quali comunque si continua a celebrare messa.
La creazione di questo FEC ha permesso che perentoriamente molte delle chiese importanti sul territorio italiano continuassero ad essere patrimonio storico e artistico del Paese, e non esclusivo bene della Chiesa. Qualche esempio: Santa Croce a Firenze, a Roma ne sono 70, l'abbazia di Farfa in provincia a di Rieti, dove facemmo un ritiro qualche anno fa, a Napoli, Chiesa del Carmine, San Domenico, San Gregorio e relativo convento, San Paolo maggiore, Santa Chiara e il chiostro maiolicato. La Sicilia è la regione ad oggi che ne conta di più, 270, tra cui la chiesa di Monreale a Palermo. In Sardegna ne sono 20.
Naturalmente appartengono al FEC anche la maggior parte degli oggetti conservati nelle chiese, quadri, statue, arredi sacri e le opere d'arte, Giotto, Donatello, Masaccio, Della Robbia, Michelangelo, Tiziano, Bernini, ecc.
Una parentesi sull'attualità per comprendere il peso ed il valore di questo FEC: molti di voi sapranno che il 7 marzo 2025 si è aperta a Roma una nuova mostra dei capolavori di Caravaggio, a Palazzo Barberini. Nella retrospettiva sarà presente anche la Flagellazione del Museo di Capodimonte di Napoli , questo perché il quadro rientra nel patrimonio del FEC. Nell'accordo di prestito, Palazzo Barberini, presterà a Capodimonte, per la durata della mostra di Caravaggio il suo San Sebastiano curato dagli angeli di Rubens.
Ma chi sono i maggiori contributori a sostenere il mantenimento di questo immenso patrimonio culturale non solo immobiliare? In primis lo Stato e poi la Chiesa attraverso fondi creati ad hoc. Fondi che quasi sempre non sono sufficienti per cui poi si ricorre agli sponsor, alle mostre, alle donazioni dei privati, si affittano o si vendono locali non più occupati, ecc. Il motivo per cui secondo me far pagare un biglietto per entrare in una chiesa è una scelta sbagliata è presto detto: lo è principalmente per la storia secolare, (che non si può cancellare) durante la quale questi beni sono stati realizzati e, secondo, perché nella nostra Costituzione (articolo 9) i padri costituenti in virtù di quanto detto e per scongiurarne l'abbandono, vollero scrivere che è compito dello Stato tutelare il patrimonio storico e artistico del Paese. Le chiese sono un bene pubblico.
In Italia, anche se ci sono stati due concordati, quello del 1929 e 1984, non c'è mai stata una separazione effettiva tra la competenza dello Stato e quella della Chiesa, tra società civile e società religiosa. Il patrimonio d'arte si è andato formando nei secoli attraverso una commistione di parti, è una storia tutta italiana, la maggior parte delle chiese sono state costruite da privati cittadini (principi, re, nobili, famiglie importanti, mecenati, benestanti, imprenditori, ecc.), e per secoli sono state da loro fruite e mantente, oggi sempre più dai fedeli, cioè dalla popolazione, e la primaria e costitutiva di esse è stata la preghiera liturgica e individuale. La Chiesa non è stata mai l'unico attore degli spazi sacri. Il biglietto non solo interrompe il patto con una comunità cristiana, comunità civili che nei secoli le hanno volute e mantenute, ma è l'avvio di una specie di mercificazione di beni che sono nati originariamente per il culto, e non per il commercio. Inoltre, non c'è chiesa antica italiana che, per via di epigrafi, sepolture, vicende, non sia anche monumento civico, storico, politico. È in questi luoghi dello spirito che ha preso forma la Nazione e da cui noi italiani abbiamo preso coscienza di popolo.
Accanto al sentimento religioso, ci sono altri motivi per entrare in una chiesa, e goderne. Questi motivi attengono al nucleo più profondo del nostro essere cittadini, e prima ancora al nostro essere umani, parti di una comunità di eguali, che prende forma e si riconosce in uno spazio pubblico. In uno spazio, cioè, in cui non siamo né fedeli né lavoratori, né clienti e consumatori, né pubblico pagante. Una chiesa è una grande scuola di umanità aperta a tutti: chi entra non può non subirne l'influsso sul proprio modo di concepire il mondo e la vita.
La densità delle presenze e il felice meticciato di epoche, qualità, tecniche, iconografie, rendono ognuna delle nostre chiese organismi vivi e reattivi straordinariamente capaci di insegnarci chi siamo e perché siamo diventati così. Attraverso le pietre ei colori delle nostre chiese rintracciamo le storie di ogni singola Città, della Nazione, dei popoli con cui abbiamo avuto un contatto, ne riconosciamo il contributo dato in termini di coesione sociale, uguaglianza, progresso spirituale di una società.
La nostra vita, di credenti o non credenti, può essere asfissiante e ansiogena, ma entrare e sostare in una chiesa, anche senza pregare, equivale a respirare. Significa entrare in un mondo governato da altri ritmi, altri colori, altre luci, altre prospettive, un altro senso del tempo. Un riposo dell'anima e del corpo. Il mondo che accelera sembra voler cancellare l'idea stessa di un'alternativa, le nostre chiese sono lì a testimoniare un altro ritmo esistenziale che si può conoscere semplicemente varcando una soglia.
Cosa si dice nel Vangelo.
Solo un piccolo accenno in questa sede ad alcune domande molto complesse che richiederebbero ben altri approfondimenti.
Chi di noi resta insensibile davanti ad un'opera d'arte sacra? Un'opera contiene sempre due elementi, l'ambizione, sempre fallita, di avvicinare il mistero divino, e lo sforzo, il talento umano che si mette in gioco. Le opere d'arte cercano di trasformare in immagini visive le storie narrate nella Bibbia. Fin da subito si è cercato di mostrare in immagini gli eventi ei personaggi descritti nei testi biblici. Le chiese nei secoli si sono riempite di affreschi, quadri, statue. Ma da dove viene questa propensione potente a trasformare in immagini la dimensione del divino, se la Scrittura stessa sembra vietarlo esplicitamente: Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra... Esodo 20, 4.
Laddove il testo biblico sorvola su alcuni dettagli inevitabilmente ha dato l'avvio ad una fervida fantasia per riempire gli spazi vuoti. È stata irresistibile la tentazione a raffigurare visivamente ciò che nel testo resta muto. In effetti tutto cambia con l'Incarnazione, con la venuta di Gesù Cristo, Dio si è reso visibile ai nostri occhi e noi quindi lo possiamo raffigurare in immagine.
Ecco la chiave per comprendere la straordinaria forza del legame fra Bibbia e arte. Le opere d'arte nel corso dei secoli si sono profuse a trasformare in immagini ciò che era invisibile.
Ed anche se il mistero di Dio resta inafferrabile con l'immagine noi restiamo in una rispettosa distanza di vicinanza.
Con le opere però si palesa un altro aspetto della questione: mentre invano di fare il ritratto di Dio, inevitabilmente facciamo il nostro autoritratto, raccontiamo noi stessi, trasformiamo in immagine chi siamo noi. Dunque, quando contempliamo un'opera d'arte del passato, non veniamo a sapere soltanto come cambia l'occhio umano nel tempo davanti al mondo divino, ma anche come, coloro che sono venuti prima di noi, raffiguravano se stessi. Il rapporto fra Bibbia e arte si rivela così l'inesauribile mistero di Dio, ma anche la verità su noi stessi, la nostra storia, di epoca in epoca.
A volte alcuni passi del Vangelo possono essere fraintesi senza una lettura attenta del testo. Alcuni lettori traggono da alcuni passi del Vangelo la tesi secondo cui a Gesù non piacevano le chiese, anzi le detestava.
Ma non è una lettura corretta.
Questo fraintendimento comincia da una lettura superficiale di ciò che riporta Atti degli Apostoli, 17, 24:
Il Dio che ha fatto il mondo e tutte le cose che sono in esso,
essendo Signore del cielo e della terra,
non abita in templi costruiti da mani dell'uomo.
Altro passaggio equivoco:
Marco 13,1-2 Matteo 24, 1-2 Luca 21, 5-6, Gesù spegne il timido entusiasmo estetico dei suoi discepoli con parole quasi sprezzanti:
Mentre usciva dal Tempio, un discepolo gli disse:
Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!
Gesù gli rispose: Vedi queste grandi costruzioni?
Non rimarrà qui pietra su pietra che non sia distrutta.
Siamo davanti al grande Tempio rifatto da Erode, un monumento carico di secoli e di storia, tutta la conversazione è imperniata sul verbo chiave del nostro rapporto con i monumenti: vedere. I discepoli fermano Gesù, lo invitano a sostare ea guardare, osservare, notare l'architettura, l'arte, le suppellettili sacre e gli oggetti di culto. Gesù risponde prendendo le distanze da questo sguardo estetico (queste cose che voi ammirate, dice Luca), e invitando a sua volta a guardare: ma con un altro sguardo. Sembra di poter dire: non con uno sguardo verso il passato, ma con uno sguardo verso il futuro. Un futuro, tuttavia, cupo, quasi da Qoelet; tutto è vano, anche la bellezza. E infatti il capitolo continua con un discorso sulla fine del mondo.
Ma, come spiegano già i Padri della Chiesa, la chiave dell'apparente inimicizia di Gesù per la bellezza del Tempio va cercata altrove, nel brano in cui Giovanni racconta la cacciata dei mercanti Giovanni 2, 13-22
Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, seduti, i cambiavalute. Allora fece una frustra di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore ei buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato. I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà.
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: Quale segno ci mostri per fare queste cose? Rispose loro Gesù: Distruggete questo tempio e in 3 giorni lo farò risorgere. Gli dissero allora i Giudei: Questo tempio è stato costruito in 46 anni e tu in 3 giorni lo farai risorgere? Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola di Gesù.
Ora è tutto più comprensibile: Gesù scuote i discepoli perché vedano qual è il vero Tempio, cioè il suo stesso corpo. Inoltre egli non detesta affatto il Tempio di pietra, anzi, ne difende la dignità con straordinario zelo, espellendone coloro che lo riducono a merce.
La lezione di Gesù è duplice, non solo sul piano religioso: la bellezza non può essere solo un fatto di pietre, deve includere le persone. Ed è per questo che non si può mercificare.
Quindi: ciò che giudichiamo bello (un quadro, un paesaggio, una città), non riguarda la sola materialità finita e circoscritta, ma anche le persone, in corpo e anima, cha a diverso titolo l'hanno riempita di significato.
Il messaggio è chiaro: quando ricopriamo di un affetto speciale un bene artistico, per sua natura inanimato, lo facciamo, al di là del suo valore artistico, per la relazione che nel tempo quel bene ha stabilito con le vite di uomini e donne che lo hanno eletto un prezioso tramite.
Ogni architettura, ogni scultura, ogni tavola, è in rapporto con i corpi dei vivi: e la bellezza è precisamente in questo rapporto. Gesù ci invita a fare di un'opera d'arte uno strumento, ad avere uno sguardo complesso: uno sguardo diverso da quello dei discepoli di Gesù, guardando le pietre dobbiamo vedere non solo le pietre, ma i corpi vivi, i soli che alla fine conferiscono a quelle pietre inanimate, la loro bellezza.
La bellezza specifica di queste due Tavole non è dovuta al solo talento dell'artista che le ha realizzate ma altresì è data dalla vostra entusiasta partecipazione, dalla condivisione di un comune desiderio.
Tanto è vero che il corpo vivo per Gesù è rappresentato dalla vedova e il suo obolo (Marco 12, 38-44) la donna vedova offre tutto quello che ha, e la sua offerta vale più di quella degli scribi, perché è totale. Gesù nel contributo della vedova esalta l'amore semplice, è il suo obolo e non gli abiti sfavillanti dei sacerdoti a dare senso al Tempio!
Un altro esempio.
Nel primo libro dei Maccabei, c'è un passaggio in cui si narra di un Tempio profanato, e la domanda è: cosa fare delle rovine? E allora si dice di lasciare la decisione al profeta che verrà. Cosa significa per noi? Il valore di un'opera, dalla commissione alla destinazione, non va considerata esclusivamente nel tempo corrente, ma va valutato anche secondo lo spirito della profezia, cioè, l'opera diventa per gli uomini che verranno dopo di noi, la testimonianza della fede della chiesa, che accoglie e valorizza la presenza del suo Signore nella Storia.
Il senso comune dei fedeli percepisce negli ambienti e negli oggetti destinati al culto la permanenza di una sorta di impronta che non si esaurisce nel tempo, anzi la loro eloquenza originaria si propaga nel tempo. Restano imperiture preghiere di carta, di marmo, di tele colorate, una preghiera concreta. Non più oggetti inanimati ma corpo collettivo, perenne liturgia, monumento tangibile alla comunione dei vivi e dei morti.
Ci pensiamo mai a tutti i fedeli che hanno frequentato la nostra chiesa da quando è stata edificata? Migliaia di fedeli. Dove saranno ora? Dove sono le loro anime? Hanno pregato davanti a queste immagini, qui condiviso il pane di vita.
È qui che esse sono nella comunione dei santi, nella presenza sconfinata del Cristo! Nel suo amore.
Una chiesa, da questo punto di vista, diventa allora un'opera di Misericordia spirituale: la forza della sua bellezza si presta a consigliare i dubbiosi, ad insegnare agli ignoranti, a consolare gli afflitti, a chi è in difficoltà, a chi è depresso, a chi è sfruttato, a chi non ha avuto molto dalla vita, a chi piange.
Casa comune, le chiese.
Finché non arrivasse l'invenzione della stampa e la Chiesa non permettesse le traduzioni nella lingua corrente nazionale, per il popolo era molto difficile avvicinarsi ai contenuti della Bibbia. La Chiesa nei secoli attraverso i cicli pittorici ha provveduto a divulgare e diffondere questi contenuti, è quello che va sotto la denominazione di Biblia pauperum, le chiese intese come libri da sfogliare, come un luogo di formazione, di istruzione, conoscenza e liberazione per i poveri di denaro e per i poveri di cultura.
Oggi alle nostre richieste chiediamo di essere vivi per i vivi per diventare davvero luogo di annuncio: annuncio del Vangelo cristiano, ma anche del primato dell'essere umano.
LIBERAZIONE DI CIO' CHE E' UMANO NELL'UOMO.
Con queste due Tavole noi oggi abbiamo sancito un legame incorporeo ma anche materiale tra le generazioni, quelle che ci hanno preceduto, quelle del presente e quelle del tempo senza fine.
Questo quartiere di Mercogliano prende il suo nome dalle torrette di grano presenti nel passato sul territorio, una di esse ancora svetta, la possiamo ammirare a quattro passi da noi nella vicina facoltà di Agraria. Queste due Tavole volute dal popolo di Torrette per impreziosire il presbiterio della nostra chiesa, possono costituire per noi, due granai di speranza e di pace in questo scenario mondiale buio e violento. Contemplare l'immagine della Madonna della Passione e del Battista possa dare conforto al nostro spirito nell'inverno della ragione.
Possa, la nostra chiesa, essere uno struggente invito alla conversione dei cuori induriti, umana prima che religiosa.
Con il suo silenzio, offriamo una pausa al nostro caos.
Con la sua gratuità, contrasta la nostra fede nel mercato.
Con la sua accoglienza a tutti, contraddire la nostra paura di chi non la pensa come noi.
Con la sua dimensione collettiva, mettere in crisi la nostra autosufficienza.
Con il suo essere un luogo pubblico, scongiurare la privatizzazione di ogni momento sociale.
Con la sua presenza assidua, interrogare la nostra inquieta assenza.
Con la sua viva compresenza dei tempi, smascherare la dittatura dell'ora.
Con la sua imperfezione, testimoniare contro la religione del successo.
Luogo di contemplazione, di ammirazione, di ascolto dell'arcano suono del tempo che arriva attraverso il silenzio, un silenzio che ci fascia di bende invisibili.
Il grande silenzio che giunge dai secoli possa concederci un indulto, una sospensione, una miracolosa pace interiore.
Possa risvegliare, in questo tempo di conflitti e di confronto feroce, ciò che di umano resiste in noi.
Di farci tornare a camminare a passo d'uomo.
Un augurio di ogni bene a tutti.
Don Giovanni Palladino